Inquinamento aria e diffusione Coronavirus: Arpav contesta la relazione ma ignora principio di precauzione e pubblicazioni

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Inquinamento
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Quando si parla di inquinamento, sia esso atmosferico o elettromagnetico, la posizione di Arpav è sempre improntata alla massima prudenza, ma non esattamente nella direzione che ci si potrebbe aspettare. Infatti, per dovere d’istituto, Arpav fa sempre riferimento ai valori limite e alle norme di legge che disciplinano la materia ambientale, ma in questo modo omette di considerare il principio di precauzione.

Trattasi di quella norma (ratificata dai trattati dell’Unione europea) secondo cui: “qualora vi siano minacce di danno serio o irreversibile, l’assenza di certezze scientifiche non deve essere usata come ragione per impedire che si adottino misure di prevenzione della degradazione ambientale”. In altre parole: se c’è un rischio evidente, ancor che non dimostrato scientificamente, è sempre meglio evitare di incorrervi.

Nel caso specifico Arpav fa ben di più ("Coronavirus, danni all’ambiente favoriscono i virus: Arpav replica che non c’è alcuna associazione causale verificata"), entra a piè pari in una polemica tra esperti e prende posizione a favore dei “negazionisti”, ossia di coloro che negano vi sia una correlazione diretta tra inquinamento e diffusione del Covid-19, in quanto non vi sarebbero sufficienti evidenze scientifiche a dimostrarlo.

Proprio ieri, 22 marzo 2020, la Società Italiana di Medicina Ambientale, l’Università di Bari e l’Università di Bologna, hanno diramato un comunicato nel quale ribadiscono – al contrario - che il loro Studio (qui il loro position paper "Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione") è stato condotto in maniera scientifica e che le alte concentrazioni di particolato favoriscono la diffusione del contagio.

Come se non bastasse questo per considerare il principio di precauzione, a conferma del fatto che il virus rimane sospeso nell’aria c'è anche uno Studio apparso il 17 marzo scorso sul “New England Journal of Medicine”, ad opera dell'Istituto americano per le malattie infettive: “Spruzzato in aerosol in condizioni di laboratorio, il coronavirus sopravvive fino a tre ore. Tra il momento in cui viene nebulizzato e lo scadere delle tre ore, la sua quantità si riduce della metà nel giro di un’ora, ma la sopravvivenza resta comunque superiore alle previsioni di partenza”.

Le stime si basano sull'esperienza di altri virus che si trasmettono da una persona all'altra a bordo di goccioline (droplets) emesse respirando, parlando, tossendo o starnutendo, e che decadono nel giro di pochi secondi, ma in questo caso, la situazione sembra essere un po’ diversa e il consiglio è di arieggiare bene anche stando dentro casa.

In conclusione, se è vero com’è vero, che l’esposizione ad alte concentrazioni di particolato sottile aumenta - già in condizioni normali - la predisposizione a malattie respiratorie e cardiovascolari, il fatto che il virus possa sopravvivere nell’ambiente per più di qualche secondo è molto preoccupante, poiché l’inquinamento agisce come un vettore di trasporto per vari contaminanti dannosi per l’uomo. Anziché alimentare inutili polemiche, sarebbe meglio darci tutti da fare per prevenire ulteriori disastri e per adottare comportamenti maggiormente responsabili nei confronti dei nostri simili e a tutela dell’ecosistema.

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