Intesa Sanpaolo, Il Fatto: la fake news della generosa rinuncia alle garanzie dello Stato sui bond BPVi e Veneto Banca, esigibili solo in caso di default della banca di Carlo Messina

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Le banche venete (BPVi e Veneto Banca, ndr), Intesa Sanpaolo e i bond garantiti dallo Stato: ovvero come fare di una non-notizia una vera e propria fake news. Ad alzare la palla è un comunicato stampa del “gruppo bancario leader in Italia” e a schiacciarla in faccia ai lettori è una buona quota della stampa italiana, Corriere della Sera in testa: “Intesa rinuncia alla garanzia di Stato – titola il quotidiano di Via Solferino – Con la mossa si estingue un rischio da 9,3 miliardi”. Insomma, l’amministratore delegato dell’istituto, Carlo Messina, nei panni del salvatore della Patria e dei conti pubblici.

Peccato che la realtà sia un po’ diversa. Per comprendere cos’è accaduto bisogna tornare all’inizio del 2017, quando Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca (all’epoca controllate dal fondo Atlante) erano a corto di liquidità e impossibilitate a finanziarsi a costi ragionevoli a causa della notoria situazione di sostanziale insolvenza. Grazie al decreto del 23 dicembre 2016 – quello con il quale l’appena insediato governo Gentiloni stanziò fino a 20 miliardi di euro per tappare i buchi della crisi bancaria – i due istituti veneti (come del resto Mps) poterono emettere obbligazioni a tasso fisso garantite dallo Stato, facendo venir meno il rischio emittente e riuscendo così a rastrellare tra gli investitori istituzionali la liquidità necessaria a costi più sostenibili. Tanto per fare un esempio, a fine febbraio 2017 Veneto Banca collocò un bond da 1 miliardo di euro con cedola dello 0,5% ricevendo richieste totali per 3,4 miliardi che consentirono alla banca di portare l’offerta finale a 1,35 miliardi riducendo lo spread dell’operazione a soli 53 punti base rispetto al Btp di pari durata (2020). Operazione resa possibile proprio dalla garanzia di Stato. In totale Vicenza e Montebelluna emisero bond garantiti per circa 10 miliardi.

A fine giugno, quando il governo dovette alzare bandiera bianca sull’impossibile ricapitalizzazione preventiva delle due banche venete e decise di offrire una montagna di soldi pubblici a Intesa Sanpaolo affinché si facesse carico della parte “buona” e dei dipendenti dei due istituti, le obbligazioni garantite dallo Stato passarono a tutti gli effetti a Intesa Sanpaolo con l’obbligo di farsi carico dei pagamenti cedolari e del futuro rimborso dei bond. In una banale ottica di razionalizzazione del debito, lo scorso dicembre il gruppo bancario ha dunque deciso di lanciare un’operazione di riacquisto di queste emissioni con l’obiettivo di annullarle, anche perché onerose: al di là della struttura dei titoli, delle scadenze piuttosto ravvicinate e delle cedole, la garanzia di Stato – che copre sia il capitale sia gli interessi – ha un costo, e anche piuttosto elevato, proprio per evitare che queste operazioni si configurino come un vero e proprio aiuto di Stato, peraltro fornito a istituti sull’orlo della bancarotta. Dunque a dicembre Intesa Sanpaolo ha deciso il riacquisto dei titoli attraverso un’operazione di “liability management”, e il 6 aprile ha comunicato di averla portata a termine con successo, procedendo all’annullamento delle obbligazioni in suo possesso per un controvalore di 9,3 miliardi euro (0,8 miliardi di obbligazioni restano ancora in circolazione) e comunicando al Tesoro la rinuncia alla garanzia per pari importo onde evitare di dover pagare i relativi costi.

Come si capisce, si tratta di una non-notizia. Intesa Sanpaolo ha semplicemente fatto ciò che andava fatto senza regalare niente a nessuno, ma badando al proprio interesse e riducendo i suoi costi. Il comunicato di Intesa Sanpaolo però termina con la seguente frase: “La rinuncia (della garanzia statale, ndr) estingue il rischio di un potenziale onere di circa 9,3 miliardi di euro per lo Stato”. E tanto è bastato per innalzare sperticate lodi all’istituto guidato da Carlo Messina, con sprezzo dei lettori e del ridicolo: quel rischio potenziale, infatti, sarebbe divenuto reale in uno e un solo caso, quello di insolvenza del debitore, ossia della stessa Intesa Sanpaolo.

di Paolo Fior, da Il Fatto Quotidiano