Note di folklore: la Pacchiana di Minturno nella Riviera di Ulisse

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La Pacchiana di Minturno
La Pacchiana di Minturno. Credits: Gruppo Facebook "Scauresi".

Vistoso, colorato, ricco, il costume della Pacchiana di Minturno non passa inosservato. Eppure, fino a non troppi anni fa, era consuetudine vederlo indossato per le strade della città, tanto da non farci nemmeno caso.

Oggi, lo scenario è completamente invertito: uniche eccezioni, le rarissime minturnesi rimaste legate alle antiche tradizioni e le feste e le esibizioni dei gruppi folcloristici che regalano a questa mise nuova linfa vitale e un’occasione in più per rivedere la luce.

Ma chi era la Pacchiana Minturnese e perché la sua figura è così importante al punto da essersi guadagnata una pagina d’enciclopedia?

Un costume che sa di Mediterraneo – Ricco, particolare, avvolgente, l’abito si è guadagnato l’appellativo di “pacchiano” proprio per queste sue caratteristiche.

In effetti, sebbene oggi quest’aggettivo venga inteso anche con un’accezione lievemente negativa, va ricordato che nel 1930, in occasione delle nozze di Re Umberto II di Savoia, il look della Pacchiana di Minturno venne dichiarato come il più bello d’Italia, sfidando ben cinquecento vestiti folkloristici; in tempi più recenti, nel 1981, ha persino ottenuto il premio di miglior costume nella rassegna mondiale del folklore di Bogotà.

Tradizionalmente, come accade per molti popoli mediterranei, la donna minturnese indossa vestiti differenti a seconda delle occasioni: si va dalla tenuta campagnola, semplice ed essenziale, per la vita nei campi di tutti i giorni, al vestito da festa e a quello da sposa, donato – ancora oggi – rigorosamente dalla suocera e traboccante di dettagli. L’abito della Pacchiana non era altro che un vestito comune di volta in volta rivisitato ed impreziosito di particolari, in base alle circostanze. Addirittura, la storia ci racconta di ornamenti pomposi e di ori così esagerati che il conte di Traetto (antica frazione distaccata di Minturno), Onorato II Caetani d’Aragona, si vide costretto a promulgare un editto (1480) per reprimere l’eccesso di sfarzo.

Naturalmente, c’era anche la variante da lutto.

La donna minturnese, modestissima, si copre da capo a piedi, ma il suo costume risponde anche a motivi di bellezza e di gusto, da renderla assai leggiadra. D’una bellezza fisica tipicamente mediterranea, robusta e fiorente, ma allo stesso tempo dai lineamenti fini, la Pacchiana impressiona subito per una specie di “tovaglia” inamidata che porta sul capo, fissata con uno spillo alle attorte trecce del capo, di bianca mussola, orlata a merletto o “pizzo” e ricadente dietro la nuca.

Gaetano Ambrosini, “Minturno allo specchio”, Assisi, 1977.

Ma se c’è un elemento totalmente identificativo per il costume, questo è sicuramente la camicia bianca di mussola, con le maniche finemente pieghettate e gonfie sul gomito – quasi ad assomigliare ad ali spiegate in volo – e ricamate ed orlate sul polso in manicotti di panno.

La “scolla” è un triangolo di raso ricamato con fili dorati e fermato dai laccioli di un grembiule che si indossa al di sopra della camicia e ricopre parte del corpetto, altra peculiarità dell’abito, tradizionalmente ricamato in oro e allacciato al petto. I laccioli (“fettucce” dello “zinale”, cioè del grembiule), inoltre, legano anche alla vita la “sanaca”, una gonna di lana o di fustagno con gallone dorato, e la lunga “pagnuccia” – di color rosso vivo nelle occasioni allegre, nera o marrone per le zì monache in caso di lutto -, che va avvolta sotto le ascelle e il corpetto, con apertura davanti, in modo da ripiegarla all’insù per avvolgere le anche. Solo nella variante matrimoniale la pagnuccia viene scorciata e indossata diversamente, a rappresentare la purezza della giovane sposa.

Il “remmuto” identifica la combinazione corpetto-scolla e si diversifica, come il resto delle componenti dell’abito, a seconda delle ricorrenze. Stessa sorte per le “ciocie” (le scarpe), che evolvono da varianti quotidiane semplici a versioni più ricche ed eleganti per le occasioni speciali.

Una fusione di culture – La tradizione mediterranea affonda le radici in una profonda e lenta contaminazione culturale. Il costume della Pacchiana di Minturno ingloba contemporaneamente la storia dei popoli di Terra di Lavoro, delle epoche degli scambi economici con arabi e nordafricani e persino delle incursioni dei saraceni (esempio ne sono le cuciture d’oro del corpetto).

Oggi – L’abito delle Pacchiane di Minturno, in tutte le sue varianti, veniva realizzato dalle ricamatrici della città. Il risultato erano delle vere e proprie opere d’arte che sono riuscite ad arrivare fino a noi e ad essere protagoniste delle competizioni e iniziative folkloristiche che ancora vengono organizzate in loco, come la famosa Sagra delle Regne.

Ma non tutto è andato perduto. Anche nel nuovo millennio è possibile incontrare ancora delle sarte specializzate nel confezionamento delle varie versioni di questo costume, anche se è molto più difficile imbattersi negli artigiani maestri del costosissimo e preziosissimo ricamo in oro.