Pochi ispettori e giustizia lenta, Raffaele Guariniello su Il Fatto: “così troppi morti sul lavoro”

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Raffaele Guariniello, magistrato
Raffaele Guariniello, magistrato

Passano i governi, tutti si dicono rattristati dalle morti bianche, ma bisogna fare cose concrete. Questo nuovo governo vuole fare un piano strategico contro gli infortuni sul lavoro. Ma chi se ne occupa?”. Per anni, da magistrato, Raffaele Guariniello ha indagato malattie e infortuni mortali avvenuti in industrie e cantieri, come ad esempio i casi dell’Eternit o il rogo della Thyssenkrupp a Torino. Dopo la morte giovedì dei quattro lavoratori indiani in un allevamento di carne bovina nel Pavese, torna a parlarne.

Dottor Guariniello, le morti sul lavoro sono ancora numerose.

Le notizie sono impressionanti, ma non mi stupiscono. Se si va avanti con questo sistema non dovremmo impressionarci se ci sono tutti questi morti.

Cosa intende per sistema?

La vigilanza sui luoghi di lavoro è un optional. Ovunque io vada trovo situazioni deprimenti: i servizi di vigilanza sono composti da pochissime persone.

A chi spettano i controlli?

Spettano soprattutto alle Asl e agli Ispettorati del lavoro. È importante che i controlli siano adeguati, ma abbiamo pochi ispettori e talvolta sono poco preparati. Molti stanno andando in pensione e non vengono sostituiti.

Qual è la conseguenza?

Le aziende si sentono libere di fare quello che vogliono. Per non parlare della situazione dei cantieri edili. Ho fatto una ricerca sulle sentenze della Cassazione sugli infortuni sul lavoro dall’inizio di quest’anno alla fine di agosto: in tutto 233 sentenze. Di queste 92 sentenze riguardano infortuni legati alla caduta dall’alto, tipiche dei cantieri e nelle grandi aziende.

Dai dati dell’Inail emerge una crescita dei morti in agricoltura: nei primi 7 mesi del 2019 c’è stato un aumento del 39,3% rispetto allo stesso periodo del 2018, con 22 decessi in più.

È una situazione grave che emerge anche dalle sentenze della Cassazione, ma il problema è sempre quello: non c’è chi va a controllare queste aree.

Ci vogliono norme più forti?

Non è una questione di norme: ne abbiamo e i reati sono sanzionati. Bisogna far capire a queste aziende che sono sotto controllo e quindi che devono investire nella sicurezza e nella formazione. Non funziona neanche aumentare le ammende, come stabilito nell’ultima finanziaria: è inutile perché tanto non ci sono i controlli.

Quindi qual è il problema?

L’organizzazione della giustizia. Nel 2019 sulle 233 sentenze della Cassazione sugli infortuni sul lavoro, ben 40 sanciscono la prescrizione dei reati: questo vuol dire che si va troppo a rilento a fare i processi. Aumentare i termini della prescrizione non è soddisfacente: la vittima dell’infortunio e i suoi parenti non possono aspettare dieci anni. Se la giustizia fosse rapida, ci sarebbe anche un effetto preventivo.

Su questo fronte qual è la soluzione?

Ci vogliono soluzioni organizzative, come la Procura nazionale della sicurezza del lavoro o un Ispettorato del lavoro che sia centralizzato e con organici adeguati in tutto il territorio nazionale.

Ha speranze che i suoi appelli possano essere ascoltati?

Ogni volta che c’è un nuovo governo, al di là dell’etichetta politica, mi chiedo se sia la volta buona. Siamo tutti d’accordo che non si deve morire lavorando, ma bisogna fare cose concrete. Forse sarebbe auspicabile una revisione del Testo unico sul lavoro che ha già dieci anni. Secondo me ci vorrebbe un ministero o quantomeno un dipartimento della Presidenza del Consiglio. Nel programma del governo c’è un punto dedicato alla sicurezza del lavoro: “Occorre realizzare un piano strategico di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali”. Non deve rimanere un punto. Ma chi lo cura?

di  da Il Fatto Quotidiano