Uno studente sulla guerra: la condanna unanime di Erasmo da Rotterdam, Brecht, Einstein e Bertrand Russell

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Erasmo da Rotterdam e Bertold Brecht
Erasmo da Rotterdam e Bertold Brecht

«Capita talvolta che il fratello uccida il fratello, che l’amico tolga la vita all’amico; mentre la follia collettiva ormai baccheggia, ciascuno affonda la spada nelle viscere di chi non lo ha offeso neppure a parole»[1].

Così scriveva contro la guerra già nel 1500 Geert Geertsz, latinizzato in Erasmo da Rotterdam. La condanna della guerra da parte del celebre umanista olandese si basa sul fatto che la guerra è contro la natura pacifica degli uomini e porta sempre terribili conseguenze sia ai vinti che ai vincitori, al di là dei possibili obiettivi che si vogliono raggiungere. Dopo una guerra, infatti, è sempre il popolo che deve pagarne le conseguenze, lo stesso popolo a cui qualche tempo prima veniva chiesto di difendere la patria dal nemico.

Il nazionalismo fin dall’antichità ha cercato di giustificare le peggiori atrocità in nome della difesa della patria da un presunto nemico, dimenticando che, come ci ricorda Erasmo da Rotterdam, la guerra porta sempre devastazione da entrambe le parti. Oggi la brutalità della guerra viene data come un concetto risaputo, come qualcosa che negli ultimi anni ci è stata estranea e non vediamo quindi la ragione del perché adesso si stia scatenando una bufera di atrocità. Sorgono allora naturali domande e riflessioni, a cui forse qualche pensatore del passato può suggerire qualcosa, utili per capire meglio l’attualità: non abbiamo forse creato noi i nemici che combattiamo, e siamo certi che, combattendo il nemico e non il sistema che lo ha creato, possiamo progredire? Può essere una guerra giustificata anche se atroce? Esiste una “guerra giusta”? Dobbiamo lottare per la pace o dobbiamo arrenderci alla visione della guerra del generale tedesco Karl von Clausewitz come «continuazione della politica con altri mezzi»[2]?

«La guerra che verrà

Non è la prima.

Prima ci sono state altre guerre.

Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente faceva la fame.

Fra i vincitori la povera gente faceva la fame ugualmente.»[3]

Questa poesia contro la guerra di Bertolt Brecht riprende le riflessioni di Erasmo da Rotterdam: come detto, in una guerra è sempre la povera gente a subirne le conseguenze.

Nella storia ci sono sempre state guerre e si è diffusa l’idea che esse siano in fondo necessarie, intrinseche alla natura dell’uomo stesso, in quanto parte di tutta la storia umana. Se è vero che l’uomo ha sempre combattuto il suo simile, non vuol dire che la guerra sia dentro l’animo umano, né significa che sia una cosa necessaria o desiderata. Molte guerre sono state giustificate dalla presunzione che deriva dai nazionalismi, cioè il fatto che alcune nazioni siano migliori di altre o dal fatto che, aggredendo il “nemico”, stiamo liberando il popolo da una tirannia, dimenticandoci che, come ci insegnano Bertolt Brecht ed Erasmo da Rotterdam, la guerra porta sempre conseguenze terribili soprattutto alla “povera gente”.

«La guerra non è un gioco da salotto in cui tutti rispettano le regole. Quando ci sono in ballo la vita e la morte, le regole e gli obblighi vanno a farsi benedire. Qui soltanto il ripudio totale della guerra può essere utile» scrisse Einstein, sottolineando che nelle guerre non esiste una “regola” che dice come si dovrebbe combattere, la guerra è piuttosto la violazione di qualsiasi regola.

Purtroppo molto spesso la convinzione di una presunta superiorità di una parte ha condotto a guerre terribili anche dopo il più orribile dei conflitti dello scorso secolo, la Seconda guerra mondiale, e ha illuso il mondo che la guerra in fondo fosse un metodo giusto, che va solo regolamentato e che eliminarlo diventa impossibile.

I romani dicevano che per avere la pace bisogna preparare la guerra: forse abbiamo seguito troppo questo detto latino ed è Einstein che ci fa domandare: com’è possibile avere la pace preparandosi alla guerra? L’etica come la verità viene subordinata ai nazionalismi e all’economia dietro i quali vengono coperte le peggiori brutalità. Possiamo veramente credere che solo preparando la guerra, “mettendo al sicuro” la nostra nazione, si può preparare la pace?

Non possiamo rispondere facilmente a domande così complesse, ma riflettere insieme ai pilastri del pensiero del passato sulla realtà che ci circonda in modo critico, è sempre interessante, così come è affascinante rimanere nel dubbio. La verità in un mondo così iper-informato è un concetto che sfugge, forse impossibile da cogliere, ma che non deve essere eliminato, anche se troppe volte è stato sacrificato sull’altare delle patrie. La guerra non può essere combattuta per qualche valore, né può essere giustificata se combattuta per liberare un popolo, perché le giustissime rivendicazioni popolari di libertà e autodeterminazione verrebbero scavalcate da interessi che portano devastazione al popolo stesso. La guerra quindi, può portare valori? A quest’altra domanda, come le precedenti, non c’è risposta definitiva, ma come diceva Bertrand Russell «la guerra non stabilisce chi ha ragione, ma solo chi sopravvive».

[1] E. da Rotterdam, Adagio n. 145, in Adagia, a cura di D. Canfora, Roma, Salerno editrice, 2002, pp. 697-707.

[2] C. Von Clausewitz, Della guerra, Rizzoli, Milano 2007.

[3] B. Brecht, Svendborger Gedichte, la guerra che verrà, Einaudi, Torino 1977.

 

Questa rubrica è il frutto della collaborazione tra il giornale Vipiù.it e il Liceo Scientifico, Scienze Applicate, Linguistico e Coreutico “Da Vinci” di Bisceglie (BT) per i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO).


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a cura di Michele Lucivero

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