La Vicenza del passato, Andrea Palladio: il mistero della morte, i cinque figli, Vincenzo Scamozzi l’erede nell’architettura

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Andrea Palladio Teatro Olimpico
Le vie di Tebe progettate da Vincenzo Scamozzi per il Teatro Olimpico

Andrea Palladio muore, improvvisamente, nell’agosto del 1580. Considerata la fama nazionale da lui raggiunta all’epoca, sembra davvero incredibile che non ci sia alcuna notizia su luogo, data e causa del suo decesso. Un altro dei tanti misteri, delle tante pagine oscure della sua biografia. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)

Solo ipotesi, quindi, è stato possibile fare sul congedo dalla vita dell’architetto settantaduenne. Dev’essere accaduto, questo è molto probabile, in modo repentino. Era, infatti, ancora al lavoro e seguiva alcuni cantieri, fra cui quello delle Logge della Basilica Palladiana a Vicenza e quello del tempietto di Villa Barbaro a Maser, in provincia di Treviso. Ed è proprio qui che la maggior parte degli studiosi individua il luogo del suo decesso, sulla base di testimonianze che lo riportano al lavoro, in quel periodo, nella villa di Marcantonio Barbaro, il nobile veneziano che gli aveva commissionato la sua villa di campagna e che lo aveva proposto per il progetto della chiesa del Redentore a Venezia.

È escluso che Andrea Palladio sia mancato a Venezia, dove risiedeva da vent’anni, perché non c’è traccia documentale nei registri pubblici ed ecclesiastici della città. E nemmeno si può ipotizzare che sia morto a Vicenza, come si può dedurre dalla concitazione con cui, a fine mese, l’Accademia Olimpica si dà da fare per organizzare le esequie. Segno che la luttuosa notizia era arrivata in ritardo in città.

Non è stata fatta, infine, alcuna congettura sulle cause della morte. L’unica notizia sulla salute dell’architetto risale all’inverno precedente e riferisce di un malanno stagionale, che comunque dev’essere stato poi superato senza problemi.

Villa Barbaro
Il tempietto di Villa Barbaro a Maser

I cinque figli di Andrea Palladio

La moglie Allegradonna, altra figura pressochè sconosciuta nella biografia palladiana, mette al mondo cinque figli: Leonida, Marcantonio, Orazio, Zenobia e Silla. Forse ce n’è anche un sesto, nato attorno al 1560, ma non è provato. Colpisce la scelta dei loro nomi, che richiamano tutti il mondo classico. Forse Marcantonio è chiamato così anche a ricordo del nonno paterno e, sicuramente, all’unica femmina è assegnato il nome di Zenobia in onore di Giangiorgio Trissino, talent scout e mentore del giovane Andrea. Nell’ottavo libro della sua opera “L’Italia liberata dai Goti” compare infatti Zenobia, regina di Palmira.

Nessuno dei figli eredita le doti e il genio paterni. Leonida, il primogenito, pare fosse uno sfaccendato ed è passato alla storia per l’omicidio a coltellate di un marito a cui aveva insidiato la moglie. È assolto per legittima difesa ma non è esclusa qualche influenza del padre sul podestà Tommaso Morosini. Più tranquillo, invece, Marcantonio, il secondo nato, che segue la stessa carriera paterna come lapicida ma tale rimane per tutta la vita.

Orazio è quello che fa più strada. Si laurea in Giurisprudenza all’Università di Padova e risulta il figlio che più si occupa degli affari di famiglia. Si fa beccare dal Santo Uffizio con alcuni libelli luterani ricevuti da eretici vicentini fuggiti in Svizzera, ma non ci sono notizie di una sua condanna.

Leonida e Orazio muoiono nel 1572 a brevissima distanza l’uno dall’altro, con profondo dolore di Palladio, che così scrive nel proemio dell’edizione dei Commentari di Giulio Cesare (1575): “con mio gravissimo e acerbissimo dolore […] la morte nello spatio di due mesi e mezzo, d’essi ambedue privo e sconsolato mi lasciò”.

Zenobia si sposa a Vicenza con un orafo, Giambattista Della Fede, ha un paio di figli e dieci nipoti. Ma nemmeno dalla terza generazione vien fuori un discendente con le doti del bisnonno.

Silla, il figlio più giovane, si iscrive all’Università ma non si laurea. È lui che sovrintende al completamento del Teatro Olimpico dopo la morte del padre. Cerca di ristampare i “Quattro libri” in una nuova edizione ampliata, ma non riesce a realizzare l’iniziativa.

Andrea non lascia ricchi i figli. Non ostante il successo, vivrà sempre in modeste condizioni economiche, sia perché non riesce a farsi pagare quanto meriterebbe sia per poca propensione alla parsimonia.

Vincenzo Scamozzi
Vincenzo Scamozzi nel ritratto di Paolo Veronese

L’erede: Vincenzo Scamozzi

Professionalmente Andrea Palladio non lascia alcun erede di sangue e la sua eredità è raccolta, quindi, da un estraneo non solo alla sua famiglia ma anche al suo ambiente di lavoro. Vincenzo Scamozzi è un vicentino, nato nel 1548 (quindi quarant’anni dopo il Maestro) e figlio d’arte, per così dire. Il padre Giandomenico è del mestiere. Inizia come perito estimatore e poi si evolve in architetto ed impresario edile. Arricchisce ma il suo successo è limitato da quello contemporaneo di Palladio. Suo principale sostenitore è Girolamo Ferramosca, che doveva essere davvero un personaggio originale: è l’unico nobile vicentino non ammaliato dall’archistar e, anzi, suo avversario.

Il figlio Vincenzo, grazie ai mezzi paterni, ha una formazione professionale con tutti i crismi, ben lontana da quella dell’autodidatta scalpellino Andrea Palladio. Per di più il suo ingresso nel mondo dell’architettura è agevolato dal fatto che comincia a lavorare nell’avviato studio del padre.

Vincenzo è considerato dagli storici dell’arte un architetto di rango ma ha la sfortuna di lavorare nella scia di Palladio. Sarà spesso valutato, a torto, come Salieri nei confronti di Mozart: bravo ma sovrastato dal genio del Maestro.

Il suo apporto più famoso a un progetto palladiano è il retro del proscenio del Teatro Olimpico, la mirabile rappresentazione prospettica delle vie di Tebe, che completa in grande sintonia l’ultimo progetto di Andrea Palladio.

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Gianni Poggi
Gianni Poggi risiede e lavora come avvocato a Vicenza. È iscritto all’Ordine dei giornalisti come pubblicista. Le sue principali esperienze giornalistiche sono nel settore radiotelevisivo. È stato il primo redattore della emittente televisiva vicentina TVA Vicenza, con cui ha lavorato per news e speciali ideando e producendo programmi sportivi come le telecronache delle partite nei campionati del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi, i dopo partita ed il talk show «Assist». Come produttore di programmi e giornalista sportivo ha collaborato con televisioni locali (Tva Vicenza, TeleAltoVeneto), radio nazionali (Radio Capital) e locali (Radio Star, Radio Vicenza International, Rca). Ha scritto di sport e di politica per media nazionali e locali ed ha gestito l’ufficio stampa di manifestazioni ed eventi anche internazionali. È stato autore, produttore e conduttore di «Uno contro uno» talk show con i grandi vicentini della cultura, dell’industria, dello spettacolo, delle professioni e dello sport trasmesso da TVA Vicenza. Ha collaborato con la testata on line Vvox per cui curava la rubrica settimanale di sport «Zero tituli». Nel 2014 ha pubblicato «Dante e Renzo» (Cierre Editore), dvd contenente le video interviste esclusive a Dante Caneva e Renzo Ghiotto, due “piccoli maestri” del libro omonimo di Luigi Meneghello. Nel 2017 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza il documentario «Vicenza una favola Real» che racconta la storia del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi e G.B. Fabbri, distribuito in 30.000 copie con il quotidiano. Nel 2018 ha pubblicato il libro «Da Nobile Provinciale a Nobile Decaduta» (Ronzani Editore) sul fallimento del Vicenza Calcio e «No Dal Molin – La sfida americana» (Ronzani Editore), libro e documentario sulla storia del Movimento No Dal Molin. Nel 2019 ha pubblicato per Athesis/Il Giornale di Vicenza e Videomedia il documentario «Magico Vicenza, Re di Coppe» sul Vicenza di Pieraldo Dalle Carbonare e Francesco Guidolin che ha vinto nel 1997 la Coppa Italia. Dal 9 settembre è la "firma" della rubrica BiancoRosso per il network ViPiù, di cui cura anche rubriche di cultura e storia.