La cattiva storia delle aliquote fiscali ovvero quando “questo maiale è tutto prosciutto!”

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Forse aveva ragione Pierluigi Bersani, quando con una delle sue metafore dipingeva alcune promesse elettorali: “Questo maiale è tutto prosciutto!” _  pare abbia bisbigliato al suo corregionale Romano Prodi. Come non dargli ragione se contemporaneamente si progettano il reddito di cittadinanza, l’abolizione della legge Fornero, e la flat tax? Questo porco è tutto prosciutto, quest’erario pubblico è senza fondo. Certo, è assolutamente necessario intervenire per calmare i rigori della povertà, della mancanza di lavoro, di reddito.

E bisogna intervenire tassativamente per assicurare la pensione dopo una certa età, specie se non si ha più un lavoro, elevando i miseri sussidi sociali e quelli minimi, prolungando il reddito garantito fino alla pensione di cittadinanza. Ma aumentare le spese e trovare il sistema per diminuire le entrate senza pesare troppo sulla finanza dei ricchi è l’operazione a tenaglia che mancava per rovinare definitivamente le casse dello Stato. Inutile opporre l’incostituzionalità della flat tax per stornare il fantasma del default, ma le trovate del programma di centrodestra di cui la Lega è degno leader, fanno con quelle del M5S un mix letale per la tenuta dei conti pubblici.

Il termine “piatto” flat, (lineare, uguale) che precede la proposta fiscale della destra – una proposta inattuata persino in quei paesi in cui la prosperità delle casse e la spesa pubblica contenuta potrebbero permettere l’esperimento – fa pensare ad una lontana forma di giustizia, di equità tra la tassazione dei redditi alti e quelli più poveri. Purtroppo non è così, poiché sottrarre ad un reddito facoltoso una qualsiasi percentuale non si ripercuote sulla sopravvivenza del suo titolare, ma solo sulle sue possibilità di capitalizzazione e d’investimento; invece sottrarre ad un piccolo reddito una percentuale pur modesta, significa peggiorare di sicuro la sua qualità della vita. Ma che avrebbero da spartire un reddito annuo di 10mila euro e uno di 80mila? Cosa ha in comune uno stipendio di mille euro al mese con quello di 6mila? La trovata delle due fasce di reddito così concepite è un espediente per superare l’incostituzionalità della manovra fiscale mentre si rimpolpano le finanze del popolo grasso; una specie di contentino ai grillini che spesso prendono a modello un’epoca eroica della politica italiana, quando invece le fasce di reddito arrivarono però fino a 32. E’ bene ricordare che la storia delle aliquote fiscali dell’ultimo mezzo secolo è una storia di lotta di classe e di asservimento della classe operaia.

Il nostro è uno dei pochi paesi d’Occidente dove esiste una tassa di successione del tutto simbolica, una faccenda amministrata in maniera bipartisan: con la sua totale abolizione da parte della destra di Berlusconi, e un leggero e formale ritocco fatto dalla sinistra di Prodi. Un paese in cui, quando qualcuno dei commentatori televisivi più in vista giudica le coperture finanziarie del reddito di cittadinanza, conclude in modo allarmante: questa cosa finirà con una bella patrimoniale! E allora? Qual è lo scandalo? E se il “flat”, il piatto che seduce tanto gli evasori in pectore, non gravasse più soltanto sul reddito, ma anche sul capitale, sulla totale ricchezza della nazione? Se si disponesse un leggero correttivo, piatto, lineare, una tassa sulla ricchezza che in Italia assomma a una decina di migliaia di mld di euro? Un’imposta con una percentuale che ricorderebbe quella delle donazioni di metà giugno, chessò: 0,2 % su ogni valore mobile e immobile? Due millesimi di percentuale che raccoglierebbero una ventina di miliardi, buoni per pagare un po’ di giustizia sociale, e che permettessero, almeno teoricamente, di scuotere una società ingessata nel suo immobilismo di classe.