“Non chiamatelo jazz”: eclettico e bizzarro il nuovo progetto del musicista veneto Carlobello

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Carlobello
Carlobello

Il termine eclettismo indica, nell’ambito delle arti e delle scienze, l’atteggiamento di chi sceglie in diverse dottrine ciò che è affine e cerca di armonizzarlo in una nuova sintesi. L’etimologia greca del termine eclettico significa “che sceglie”. La scelta consapevole è insita nel significato di un altro termine, “bizzarro”. Bizzarro è infatti colui che attira l’attenzione per la sua stravaganza, che è volutamente originale. Eclettico e bizzarro sono due aggettivi che ben si sposano con il giovane musicista di Feltre (Belluno) Carlo Cappello che ha da poco lanciato il suo nuovo progetto musicale, Carlobello. Una delle prime cose che si chiede a chi ci dice di fare il musicista o a chi ci propone un nuovo ascolto è: di che genere? Questo è già un primo tema che andiamo a spiegare con l’artista stesso, a volte definito (dagli altri) jazz.

La questione del genere

Io non mi sono mai definito un musicista jazz, semmai lo hanno fatto gli altri; è una parola che rifiuto, come del resto facevano anche Miles Davis, Charles Mingus, John Coltrane. Quando la gente parla di jazz di solito si riferisce allo swing, al bepop, hard bop, jazz modale, cioè a tutto quello che è successo nel jazz tra gli anni ’20 e l’inizio dei ’60. La black american music, musica afroamericana, come la chiamava Mingus, comprende i generi che noi comunemente chiamiamo jazz, ma anche altri generi come il blues, il funk, il soul, il gospel. Io critico il modo in cui si fanno le cose oggi, perché ritengo che oggi l’arte parta da principi dialettici e sia inefficace per raggiungere i propri scopi che dovrebbero essere, soprattutto nella musica, preverbali. Alcuni miei colleghi per esempio mettono delle descrizioni di paesaggi che rendono marginale il ruolo della musica fornendo all’ascoltatore le immagini che gli servono per immedesimarsi nella musica“.

Carlobello in studio con Furian, Pezzin, Andrich, Nisi
Carlobello in studio con Furian, Pezzin, Andrich, Nisi

Il disco

Il progetto Carlobello invece vuole essere preverbale, inattuale, misterico, ma che incorpori degli elementi di ciò che succede oggi, però liberati da ogni logica nella creazione musicale, cioè prendere elementi della musica mainstream di oggi e restituirgli la loro funzione di significante. Nel momento in cui io vado ad accostare differenti tipi di beat  tramite la tecnica del pastiche o degli accostamenti bizzarri, li sottraggo dal sistema di significati attribuiti dalla gabbia del genere. Che era poi quello che faceva Carmelo Bene nel teatro. Così restituisco la funzione di significante, cioè qualcosa che significa non perché vuol dire, è un suono, un giro di batteria. Carlobello rifiuta l’idea dell’artista che si sfoga, che dice cose con la musica, perché è una retorica legata al voler anteporre la parola alla musica. Carlobello è una sorta di fantoccio, di finta rockstar, una caricatura che vuole simboleggiare l’assenza dell’artista inteso come agente, parlante. Il disco è uscito il 25 dicembre 2020, autoprodotto, per Malandryne records. Registrato all’Unisono di Feltre con Max Furian, batterista di Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Max Pezzali, che ha suonato con Paolo Fresu. Al basso Davide Pezzin, bassista ufficiale di Ligabue e di Cristiano De André. L’abbiamo registrato all’unisono perché io ho vinto il premio Music Ambassador nel dicembre 2018 e quindi nell’estate 2020 ci siamo trovati per registrare il disco rilasciato su tutte le piattaforme: Spotify, YouTube, iTunes, Deezer, consta di 4 brani e dura 26 minuti. Oltre al disco poi uscirà anche il vinile.

Da sinistra: Andrich, Furian, CB, Nisi, Pezzin
Da sinistra: Andrich, Furian, CB, Nisi, Pezzin

Questa è la bio, ovviamente eclettica, che lo stesso giovane artista presenta

CARLOBELLO, classe 95 (egli è in realtà eterno), concede l’onore di fornirgli i natali alla stordita città di Feltre. Fanciullo, a capoccia bassa dalla madre Teti viene tuffato nelle turbinose acque di un fiume poco men che infernale: Duke Ellington, Anita Baker, Santana, Barry White, Red hot chili peppers, Elton John, Pino Daniele, Glenn Miller, Queen, Alan Sorrenti, Diana Ross, Benny Goodman…
La leggenda lo vuole pubescente brufeloso trascinarsi per le strade del Rubino delle Dolomiti in un’odorosa maglietta dei guns&roses; nell’alcova alfabetica del suo mp3, alla lettera M, strani compagni di letto i Megadeth e Madonna.
Crescendo, l’eclettismo rimane sua innata capacità: tutti predicano una visione “totale” della musica, “senza steccati” e così via di banalità in banalità; sempre invece si (ar)rendono mesti esecutori di malattie verbali dell’espressione artistica, confinati da cancelli retorici in generi e sottogeneri dal retrogusto cadaverino. CB svolazza frescone ben al di sopra del prato skagazzoso da cui nascono i fetenti fiori del “genere musicale”. Egli guarda al cielo senza nubi della grazia apollinea con sguardo lampeggiante di bambino scontroso – i suoi occhi hanno visto la Vista.