Le antiche e misteriose mura ciclopiche dell’acropoli del Circeo

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Mura ciclopiche de''acropoli del Circeo.
Le mura ciclopiche dell'acropoli del Circeo. Credits: megalitico.

Il connubio perfetto tra storia e leggenda, panorami incantevoli e oscuri misteri, natura selvaggia e fredda roccia: il promontorio del Circeo. Con le sue falesie a picco sul mare, le spiaggette segrete e quella incredibile popolazione di grotte che lo “ferisce” e lo apre dall’interno ai nostri occhi, è davvero una meta escurionistica e turistica ideale per curiosi e famiglie, lasciando ampio spazio creativo sull’itinerario da disegnare e personalizzare di volta in volta.

Ma c’è una fetta del territorio che risulta ancora abbastanza enigmatica e piena di segreti da rivelare: è l’acropoli del Circeo, incorniciata da mura mastodontiche che, secondo la leggenda, sarebbero state costruite dai Ciclopi.

L’acropoli del Circeo – Affacciata sul Golfo di Gaeta e sulle Isole Pontine, da un lato, e sul Golfo di Anzio, dall’altro, l’antica acropoli del Circeo era un tempo accessibile da una strada che si crede ricalcasse quella moderna, passando per il centro storico di San Felice Circeo e raggiungendo il lato settentrionale delle mura ciclopiche attraverso una serie di tornanti.

Ci sono ancora molti interrogativi irrisolti circa il suo ruolo storico, nonché sulle sue origini: gli studiosi hanno proposto una serie di teorie che, in alcuni casi, sono talmente diverse da contraddirsi e smentirsi l’una con l’altra. Sicuramente, l’elemento più “forte” dell’intero sito è proprio quello delle mura di cinta in opus poligonale ma, anche qui, sussistono più ipotesi che certezze, condite da una serie di leggende antichissime.

Mura in opus poligonale.
Mura dell’acropoli in opus poligonale. Foto di Archivio Parco Nazionale del Circeo.

Le mura ciclopiche – Le mura megalitiche dell’acropoli del Circeo appaiono lisce e levigate all’esterno (opera poligonale di III maniera), grezze e piene di spuntoni sporgenti all’interno: una tecnica, si pensa, che permetteva un’edificazione più veloce, soprattutto in contesti di difesa in cui si ricercava l’inespugnabilità. Un muro liscio è anche un muro su cui diventa difficile arrampicarsi!

Cercando tracce del passato si è scoperto che all’interno di questa imponente fortificazione mancano completamente riferimenti a resti di costruzioni in muratura. Un elemento che ha spinto i ricercatori ad ipotizzare un carattere prettamente difensivo del sito che avrebbe escluso qualunque altro tipo di vita sociale. Secondo altri studiosi, però, questa assenza non escluderebbe la possibilità che abitazioni in legno non siano riuscite a pervenire sino a noi.

Nessuna certezza nemmeno su chi avrebbe costruito o commissionato quest’opera mastodontica: c’è chi parla di resti di una colonia romana voluta dall’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo (datando il sito, quindi, intorno al 500 a.C.), e chi, invece, parla di qualcosa di molto più antico, attribuibile ai Pelasgi, esuli greci che colonizzarono l’Italia centrale a più riprese e in piccoli insediamenti che tenevano conto persino della disposizione delle costellazioni (in questo caso, quella del Toro). E non stupirebbe, visto che la strutturazione di molte edificazioni megalitiche vede le proprie basi nello studio delle stelle: d’altronde, questa popolazione preellenica fondava la sua cultura sull’osservazione astrale e sulla terra.

Non mancano gli elementi mitici: secondo una serie di leggende, queste mura sarebbero legate ai Ciclopi, a Circe e ad una popolazione misteriosa che le avrebbe costruite attraverso una tecnica sconosciuta.

In assenza di così tanti tasselli è difficile costruire un quadro storico in cui contestualizzare tutto: se, effettivamente, quest’opera fosse davvero di matrice preromana, è molto plausibile che la sua efficacia difensiva possa essere tornata utile più volte, nel corso dei secoli.

C’è da dire che non si tratta di un unicum a livello regionale: altre mura megalitiche si trovano a Norba (provincia di Latina), Arpino (Ciociaria), Gianola (Formia) e Scauri (Minturno). Ed è proprio da questa constatazione che è nata l’ipotesi dell’origine preromana.

Le mura ciclopiche dell’acropoli del Circeo cingevano in roccia viva (ricavata da due cave locali) circa 2 ettari di territorio, racchiudendolo in una pianta a quadrilatero irregolare. Possono essere visionate nella loro interezza grazie ad un sentiero escursionistico panoramico molto suggestivo che le costeggia per intero e culmina nella vista che si apre dal Faro di Capo Circeo, scendendo fin giù al porto turistico. Il tempo di percorrenza è di circa un paio d’ore, ma ne vale assolutamente la pena.

La struttura – Se poco sappiamo di certo su questo importantissimo sito archeologico, qualcosa possiamo sicuramente affermare sulla struttura in tre nuclei con cui si identificava alle sue origini:

  • sull’estremità orientale del promontorio, l’acropoli racchiusa dalle mura poligonali;
  • più in basso, connessa attraverso un muro di collegamento, l’urbe, con il suo insieme di  edifici ed infrastrutture;
  • nella parte più alta del monte, l’ultimo livello sorto dove si erigeva l’antichissimo Tempio di Circe.

Inizialmente le porte d’accesso erano due: la Porta Antica a nord-ovest, di cui sono visibili pochissimi resti a causa del crollo dell’architrave, e una (probabile) porta di emergenza all’estremità del lato nord. La peculiarità di questi ingressi è tutta nel sistema di chiusura che puntava a risolvere alcune difficoltà legate alla struttura in opera poligonale.

Da menzionare anche il pozzo ipogeo con volta a thòlos, cioè con base circolare e che si estende a cono nel sottosuolo: è la cosiddetta cisterna del Rospo Idolatrato su cui pure sono state formulate diverse ipotesi, dall’utilizzo come serbatoio al ruolo di tomba o luogo di culto, nessuna delle quali – al momento – da ritenere definitiva.