Brevi osservazioni e chiarimenti sui cinque referendum sulla giustizia del 12 giugno, ex magistrato Schiavon: finora poco e malamente spiegati

Referendum Giustizia, le schede per i 5 quesiti
Referendum Giustizia, le schede per i 5 quesiti

Ringrazio per aver avuto l’opportunità di esprimere, sia pure sinteticamente, la mia opinione sul nuovo referendum sulla giustizia.

Mi pare, anzitutto, che i quesiti siano troppo tecnici, non agevolmente comprensibili neppure per gli addetti ai lavori e, soprattutto, siano stati malamente spiegati, anche in modo ingannevole e fuorviante; esistono non poche asimmetrie tra i quesiti e le loro presentazioni agli elettori.

In sintesi:

  • Quello relativo alla cosiddetta Legge Severino viene presentato dagli assertori della c.d. giustizia giusta come espressione dell’esigenza di evitare la sospensione di sindaci e amministratori locali condannati con sentenza non definitiva (perché potrebbero essere, poi, assolti): ma così non è perché il quesito prospetta la necessità di abrogare l’intera disciplina, anche quella che prevede la decadenza e l’incandidabilità di parlamentari condannati con sentenza definitiva ad una pena superiore a due anni (come Berlusconi). La spiegazione del referendum è, dunque, ingannevole.

Inoltre, si invoca, a fondamento del quesito referendario, il principio di presunzione di innocenza, che, però, è richiamato malamente: la legge c.d. Severino tende a tutelare la collettività (non il singolo politico) dal rischio di affidare il governo della cosa pubblica a persone di discutibile deontologia.

  • Con riferimento ai presunti abusi della custodia cautelare, ritengo che lo specifico quesito del referendum sulla giustizia sia stato erroneamente qualificato. Il quesito si riferisce non solo ai possibili abusi della custodia cautelare, ma opera una drastica riduzione del campo di applicazione della custodia stessa e delle altre misure cautelari, coercitive e interdittive. Esclusi alcuni delitti (quelli per mafia e quelli commessi con l’uso delle armi), l’effetto del referendum sarebbe quello disapplicare, nei confronti di imputati di reati gravi, qualsiasi tipo di misura cautelare: non solo il carcere e gli arresti domiciliari, ma anche l’allontanamento dalla casa familiare (nel caso di un coniuge violento) oppure il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (nel caso di atti persecutori). Così come non sarebbero più praticabili neppure misure interdittive … E’ questo che desiderano i cittadini? I problemi che pone il quesito sulle misure cautelari sono molti. In questa sede, mi limito ad evidenziare il carattere ingannevole e menzognero della campagna svolta dai promotori della c.d. giustizia giusta; se si smantellano gli strumenti di contrasto alla criminalità, non si opera una riforma della giustizia, ma una riforma contro l’amministrazione della giustizia ed una riforma contro l’eguaglianza e i diritti delle persone.

Un noto quotidiano, politicamente orientato contro la magistratura (mi si perdoni l’apparente pressappochismo dell’affermazione, frutto di una contingente necessità di sintesi), riferendosi ai magistrati, aveva testualmente scritto: “adesso la casta trema”. Mi pare, invece, che dovrebbero essere più i cittadini a preoccuparsi di simili future previsioni normative.

Il quesito (approvato dalla Corte Costituzionale) prevede l’eliminazione della soglia minima di firme, abolendo così, in modo definitivo, il necessario appoggio di terzi (cioè, si suppone, delle correnti) per l’elezione a membro del C.S.M..

Ma il quesito è del tutto marginale e irrilevante e, se sarà approvato il referendum su questo punto, non verrebbe, comunque, meno l’inconveniente del correntismo, che si vorrebbe (giustamente) combattere.

  • La separazione delle funzioni non vuol dire, ancora, separazione delle carriere. E, proprio perché separare le funzioni (che, peraltro, già ora sono ben distinte) non è ancora separare le carriere, magistrati giudicanti e requirenti continuerebbero a dipendere dallo stesso C.S.M. e a far parte delle stesse correnti.

A cosa serve, allora, un tale quesito?

Rimarrebbero immutati i legami organizzativi fra giudici e pubblici ministeri, ciò che è il vero problema.

Il quesito del referendum sulla giustizia vorrebbe non permettere più il cambio di funzioni fra giudicanti e requirenti (o viceversa) nella carriera di un magistrato. E questo significherebbe che, fin dall’inizio della sua carriera, un giovane magistrato dovrebbe subito scegliere se fare il giudicante (in qualsiasi funzione) o il requirente.

Tutto qui … A parte l’opportunità di una scelta di questo tipo, ancora una volta, credo che la presentazione del quesito, da parte dei promotori, abbia contribuito, non poco, a depistare gli elettori. Ricordo che il Presidente della Corte Costituzionale Amato ha già avuto modo di chiarire, già molto tempo fa, che non è corretto parlare di separazione delle carriere dei magistrati, come la gente crede. Anche se, sul punto, venisse approvato il quesito referendario, la carriera non verrebbe toccata: essa resterebbe unica e solo il passaggio dall’una all’altra funzione si ridurrebbe nel tempo. Tutto qui!

  • Infine, il quesito sui Consigli Giudiziari riguarda la possibilità, da parte degli avvocati che fanno parte di tali organismi elettivi, di votare anche le decisioni riguardanti le valutazioni di professionalità dei magistrati del Distretto (ciò che oggi non è consentito).

Anche la ministra Cartabia ha inserito un tale cambiamento nella sua riforma sulla giustizia, prevedendo, però, che i componenti laici possano partecipare alle discussioni, ma non anche alle votazioni riguardanti le delibere sulla progressione di carriera dei magistrati; tranne casi eccezionali (come quando sia proprio il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati a segnalare comportamenti scorretti da parte di un magistrato sottoposto a valutazione).

Personalmente ritengo poco opportuna questa specifica richiesta del referendum sulla giustizia che, in ogni caso, ha un rilievo sociale particolarmente modesto.

In definitiva, è mio profondo convincimento che lo strumento referendario non possa, per sua natura, prestarsi a porre le basi di una riforma della giustizia, che è sicuramente necessaria e urgente, ma che richiede solo un coordinato intervento legislativo in una materia complessa e divisiva.

Infine, ricordo che il quesito sulla responsabilità diretta dei magistrati è stato dichiarato inammissibile perché, sul punto specifico, il referendum non sarebbe abrogativo (di una norma vigente, che, invece, non c’è) ma innovativo. Solo il legislatore potrebbe disporre tale responsabilità (ma, qui, mi permetto di ricordare che una sentenza riformata non è necessariamente una sentenza errata: ne riparleremo…).