Ripartire da noi stessi

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Da tempo (troppo tempo) il nostro Paese sembra dal punto di vista politico, sempre sull’orlo di una crisi di nervi. E questo per molteplici ragioni che si sono via viasommate. Le delusioni per chi aveva promesso l’archiviazione della crisi economica più lunga del dopoguerra, salvo poi rendersi conto che in tanti stavano ancora male. La rabbia montante e alimentata ad arte da vari settori della politica nazionale. Il dubbio che comunque i politici siano tutti uguali. Il rendersi conto che la corruzione in Italia non è scomparsa.

Il rosario pessimista-depressivo potrebbe continuare ancora a lungo, alimentato da una situazione molto complessa, con problemi strutturali enormi per i quali non esistono (nonostante quello che qualcuno vuole farci credere) soluzioni semplici e abasso costo. La crisi climatica e la bomba demografi ca, per citare solo due di questi problemi strutturali, richiedono risposte articolate, credibili e stabili nel tempo. Prospettiva questa, dura per una politica come quella italica che pensa al qui e ora per il consenso di domani, senza minimamente preoccuparsi degli effetti dei diversi provvedimenti sulle generazioni che verranno.

E così qualcuno pensa ancora che i politici “bisogna cacciarli via tutti”, quasi a dire che quanto avvenuto con il voto del 4 marzo non fosse bastato, con l’illusione che comunque si possa ripartire dal via, in una rinnovata e potenzialmente perfetta situazione. Qualche altro si azzarda a dire che non crede più nella democrazia. Che siamo in una fase di transizione ce lo diciamo da tempo, anche con riferimento al sistema della democrazia occidentale. Di fronte a questa situazione la prima fondamentale cosa che serve sono i nervi saldi per ripassare a memoria i fondamentali che non dobbiamo dimenticare. Qualcuno vorrebbe mettere in soffitta la democrazia liberale. Sia Trump che Putin teorizzano da tempo che questa sia al capolinea e che il futuro è ilpopulismo. Se però si vanno a vedere i risultati concreti in termini di libertà, uguaglianza, giustizia sociale, possibilitàriconosciute a tutti ci si rende conto che mai come oggi è valido l’aforisma di Churchillsecondo il quale “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora”. Insomma se vogliamo risalire la china non sono certo la Russia, o gli Stati Uniti o la Cina gli esempi da seguire.

Allo stato attuale non ci sono alternative alla democrazia liberale, che certo va aggiornata e riformata, ma non buttata alle ortiche. Bisogna, peraltro, essere consapevoli che la nostra democrazia chiede il contributo di tutti e questo indica anche il modo (l’unico vero e credibile) per dare un futuro credibile al Paese.

È necessario che ciascuno di noi faccia la propria parte. La corruzione si combatte se ciascuno di noi inizia a rispettare le leggi e rifi uta comportamenti delinquenziali. L’evasione fiscale può crollare (e il bilancio dello Stato migliorare in modo sensibile) se ciascuno paga quello che deve e non cerca scorciatoie per evadere le tasse.

Le risorse pubbliche saranno remunerative se ciascuno che ha un compito pubblico inizia a dare il meglio di sé, sempre e comunque. La democrazia invece, ci ricorda Liliana Segre, “si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi, e c’è chi grida più forte e tutti dicono: ci pensa lui”. Fare la propria parte è in qualche misura schierarsi.

Ha ragione Ferruccio de Bortoli quando, nel suo ultimo libro “Ci salveremo”, ricorda come nel nostro Paese ci siano ancora tantissimi disposti, senza clamore, a darsi da fare per gli altri con gratuità: un patrimonio enorme di umanità che fa ben sperare. L’Italia può farcela a superare la stagione del pessimismo depressivo: basta ripartire da questo patrimonio di bene quotidiano e che ciascuno riparta da sé stesso. Questo lo possiamo fare. Perché dipende da noi.