Tanto lavoro poco personale, Il Fatto: Centri per l’impiego in stallo. Regione Veneto: i provvedimenti per il personale

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Pubblicato il 28 marzo 2018 alle 9.37, aggiornato alle 10.34. È lunedì mattina e al centro per l’impiego di Roma Cinecittà, uno dei più grandi d’Italia, decine di persone fanno la fila con il numeretto in mano in attesa del turno (a seguire alcuni provvendimenti per il personale della Regione Veneto, ndr). No, non si tratta dei protagonisti della fake news sui moduli del reddito di cittadinanza, ma dei veri disoccupati che frequentano gli ex uffici di collocamento già da tempo per altri motivi: famiglie di stranieri che chiedono il rinnovo del permesso di soggiorno, ragazzi speranzosi che un tirocinio di Garanzia Giovani apra finalmente qualche porta, ex lavoratori in cerca di ricollocazione, gente in gravi difficoltà economiche intenta a compilare la domanda per il reddito d’inclusione (ReI).

I centri per l’impiego italiani oggi sono depotenziati rispetto al recente passato e fanno fatica a garantire tutti questi servizi. Figuriamoci se venisse approvato il Reddito di cittadinanza che comporterebbe un enorme aumento dei compiti. Nei 23 dislocati in tutta l’area metropolitana di Roma (5 proprio nella Capitale), per esempio, in due anni gli addetti sono passati da 412 a 336. Quello di Cinecittà è al servizio di un territorio che comprende sette quartieri romani, ma oggi può contare solo su 47 impiegati. “Una decina di anni fa – spiega il responsabile Antonio Capitani – avevamo più del doppio delle risorse attuali”. Buona parte delle attività svolte oggi nei centri per l’impiego è ancora strettamente burocratica: “Qui ci occupiamo di certificare lo stato di disoccupazione – dice il dirigente – e a questo dobbiamo aggiungere i patti di servizio, l’orientamento, la riqualificazione professionale, l’incrocio di domanda e offerta di lavoro, il collocamento mirato dei disabili”. La carenza di organico è solo in parte compensata dai dipendenti di una società in house, la Capitale Lavoro, e dai rinforzi inviati da Anpal Servizi, la spa dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (una creatura del Jobs Act). La figura che più di tutte servirebbe nei centri per l’impiego della Capitale è quella dell’orientatore, ma – fa notare ancora Capitani – “il paradosso è che questa figura non è nemmeno prevista dai nostri contratti”. Insomma, il genere di professionalità che più sarebbe necessaria non è neanche riconosciuta.

La gestione politica dei servizi per l’impiego è stata, negli ultimi anni, contraddittoria: da un lato sono stati gravati di nuovi impegni (Garanzia Giovani, assegno di ricollocazione, reddito d’inclusione), dall’altro sono stati smembrati. Complice la riforma delle Province – da esse ancora dipendono i centri – la quale ha favorito un esodo di personale. A complicare le cose, la decaduta riforma costituzionale che avrebbe accentrato le competenze in materia di politiche attive del lavoro. Il referendum l’ha bocciata e per questo il 30 giugno i centri passeranno in mano alle Regioni. Nel frattempo, bisogna andare avanti come si può, con pochi soldi e tanti precari arruolati. I disagi riguardano anche le sedi periferiche nei territori storicamente riconosciuti per l’efficienza in questo genere di servizi. A Città di Castello, in Umbria, gli addetti negli ultimi anni sono passati da 16 a 12, con un bacino di utenza da 80 mila abitanti. Cristian Biagini è uno dei due orientatori in servizio nel centro, poi ci sono due mediatori e gli altri fanno front-office. In una delle sedi di Firenze, dieci dipendenti (otto precari) devono gestire un flusso di utenti che in alcuni mesi arriva a mille persone. “A ottobre – spiegano gli addetti Romina e Alfonso – c’è un’enorme affluenza perché finisce la stagione estiva”. Anche il Molise, nel suo piccolo, affronta difficoltà: ventisette precari a fine 2016 non sono stati riconfermati – dopo aver lavorato mesi senza contratto – e ora, rivendicando il diritto alla stabilizzazione, hanno fatto causa contro un concorso per 52 nuove assunzioni. Anche questo rallenta il servizio.

Con questi presupposti, è complicato mettere in piedi un sistema funzionante di politiche attive, ovvero quei servizi pubblici che aiutano i disoccupati a trovare un posto di lavoro. Chi è riuscito a farli funzionare – la Lombardia che con il progetto “Dote unica lavoro” ha avuto riconoscimenti europei – si serve del contributo dei privati (come per esempio le agenzie), che nella Regione rappresentano il 70 per cento degli operatori accreditati per i servizi del lavoro.

Le statistiche confermano le testimonianze raccolte. Nel 2015 – ha fatto notare l’Ordine dei consulenti del lavoro – l’Italia ha speso 28,9 miliardi in politiche del lavoro, ma ben 21,3 sono sussidi ai disoccupati. Dei restanti 6,9 miliardi destinati alle politiche attive, il 55% è formato da incentivi alle imprese che assumono, cosa che spesso non crea nuova occupazione ma si limita a far emergere il nero o a favorire la stabilizzazione di precari. L’investimento della Germania arriva a 45,9 miliardi; di questi, 8,2 sono politiche attive (gli sgravi alle imprese si fermano al 7,6% di quella cifra), il resto è quasi tutta formazione. La Francia, invece, prevede una dotazione totale di 65 miliardi, ma gli sconti alle aziende sono solo il 6,4% dei 16,5 miliardi che rappresentano la quota destinata alle politiche attive. Ai centri per l’impiego noi destiniamo solo 750 milioni di euro, la Francia 5,5 miliardi e la Germania 11 miliardi.

Nei nostri uffici lavorano 9 mila addetti, contro i 50 mila dei pole emploi francesi e i 110 mila degli omologhi tedeschi. Non è un caso che nel nostro Paese solo il 25% di chi cerca lavoro si rivolga ai centri. Insomma, noi sosteniamo i datori di lavoro, gli altri aiutano le persone attraverso servizi e formazione.

Il risultato è che in Italia i disoccupati da più di un anno sono il 58% del totale, in Francia il 46,6% e in Germania il 41,5%. Peggio di noi, solo Grecia, Bulgaria e Slovacchia.

di Roberto Rotunno, da Il Fatto Quotidiano

 

Politiche attive del lavoro, da conferenza regione-autonomie locali provvedimenti per i centri per l’impiego

 

La Conferenza Permanente Regione – Autonomie Locali, in seduta congiunta con l’Osservatorio regionale sulla Legge n. 56/2014 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), ha approvato alcuni provvedimenti che segnano un importante passo in avanti nell’attuazione della riforma delle politiche attive del lavoro. Si sta infatti compiendo la transizione in capo alle Regioni delle competenze gestionali in materia, esercitate attraverso i Centri per l’impiego, e il consolidamento dell’attività a supporto della riforma delle politiche attive del lavoro.

L’assessore regionale al lavoro Elena Donazzan sottolinea in particolare l’importanza del parere sul disegno di legge (n. 4 del 16 febbraio) di modifica della Legge regionale di Bilancio. “Come consentito dalla Legge di Bilancio statale – spiega l’assessore – la legge regionale aveva collocato il personale dei Centri per l’impiego nei ruoli di Veneto Lavoro. A tutela del personale era stato previsto un primo dispositivo di salvaguardia concernente i profili del trattamento giuridico ed economico. Ma, raccogliendo le preoccupazioni espresse dalle organizzazioni sindacali della Funzione Pubblica, si è inteso integrare la norma di salvaguardia, dandole un contenuto ancora più ampio che tuteli il personale non solo nell’ipotesi di soppressione dell’Ente, ma anche di modifiche della sua natura. E si tratta di una tutela maggiore rispetto a quella originariamente prevista”.

Da parte sua il vicepresidente veneto Gianluca Forcolin fa rilevare che gli altri atti fondamentali che hanno ricevuto il parere positivo riguardano il proseguimento dell’attuazione del percorso tracciato dalla Legge Delrio e dal decreto legislativo n. 150/2015 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive). “Sono atti che segnano il termine della fase transitoria di gestione provinciale dei servizi per l’impiego – mette in evidenza Forcolin – resa possibile dal forte spirito di collaborazione che si è instaurato tra tutti gli enti interessati, inaugurando la fase di entrata a regime della gestione regionale, realizzata attraverso Veneto Lavoro”.

Si tratta della convenzione tra la Regione e le Province e la Città metropolitana di Venezia, prevista dalla Legge di Bilancio 2018 per la gestione della fase transitoria, fino al 30 giugno 2018, del trasferimento del personale dei Centri per l’impiego e per l’erogazione delle risorse per il pagamento degli oneri relativi ai costi del personale da parte della Regione. Altra convenzione è quella tra la Regione, Veneto Lavoro e le Province e la Città metropolitana di Venezia che regola il trasferimento a Veneto Lavoro dei dipendenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, e la fase transitoria fino al 30 giugno 2018. Infine, le Linee di indirizzo sulla base delle quali Veneto Lavoro modificherà il proprio Regolamento a seguito dell’integrazione delle nuove funzioni, disciplinando l’assetto organizzativo, il modello organizzativo della rete pubblica dei servizi per il lavoro e la dotazione organica dell’Ente.